Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Applicabilità della disciplina dell’art. 671 c.p.p. al reato permanente – Corte cost. n. 53 del 2018

Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha dichiarato: non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 671 c.p.p. sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Chieti - Sezione distaccata di Ortona, nella parte in cui non prevede, in caso di pluralità di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del [giudice dell’esecuzione] di rideterminare una pena unica, in applicazione degli artt. 132 e 133 c.p., che tenga conto dell’intero fatto storico accertato e di assumere le determinazioni conseguenti in tema di concessione o revoca della sospensione condizionale, ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p. I giudici della Corte hanno premesso che la giurisprudenza ha sempre riconosciuto al reato permanente natura unitaria giacché la prosecuzione nel tempo della condotta non dà luogo a tante offese quanti sono i ‘momenti’ di cui essa si compone trattandosi viceversa di un unicum normativo. Può accadere, tuttavia, che il reato venga giudicato in modo frazionato dal momento che l’azione penale può essere iniziata in costanza della permanenza: in questi casi, evidentemente, la condanna può riguardare solo la condotta anteriore dovendosi attivare un ulteriore procedimento ove il reo persista; così come accade ogniqualvolta il pubblico ministero acquisisca in modo graduale la prova del medesimo reato permanente. Il giudice rimettente aveva pertanto evidenziato come, in tali casi, non troverebbe applicazione né la disciplina degli artt. 649 e 669 c.p.p., né quella dell’art. 679 c.p.p. in tema di riconoscimento della continuazione in executivis con la conseguenza che l’imputato si troverebbe illegittimamente esposto al cumulo materiale delle pene. La Consulta, non senza rilevare che la questione relativa al rapporto tra ne bis in idem e reato permanente costituisce invero un “problema storico”, ha avuto modo di chiarire la distinzione tra contestazione ‘aperta’ e ‘chiusa’, evidenziando come il divieto di bis in idem operi con riferimento alle sole condotte individuate con precisione nel capo d’imputazione anche sotto il profilo del decorso temporale. Ancora, con specifico riferimento all’inapplicabilità dell’art. 671 c.p.p., il rimettente ha osservato come l’istituto della continuazione postuli che l’agente abbia commesso una pluralità di reati distinti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, mentre nel caso di reato permanente si sarebbe al cospetto di un unico reato giudicato “per tranche”. In particolare, poi, nel caso di specie, neppure vi sarebbe stata un’interruzione giudiziale della permanenza in corrispondenza della sentenza di primo grado in quanto successiva all’ultima condotta giudicata nei processi susseguitisi nel tempo: circostanza cui la Consulta non ha invece attribuito rilievo alcuno, trattandosi comunque di contestazioni “chiuse”. In particolare, si è precisato che la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, nel caso di interruzione giudiziale della permanenza, la disciplina del reato continuato - anche in sede esecutiva - è ben applicabile ai vari segmenti di condotta giudicati: del resto, è evidente che l’identità del disegno criminoso sia facilmente verificabile nella determinazione volitiva che sta alla base delle singole porzioni temporali di una condotta antigiuridica omogenea, come per l’appunto quella del reato permanente con conseguente riferibilità dell’art. 671 c.p.p. anche all’ipotesi in commento.

D. Piva.