Benefici penitenziari/Ergastolo - Trib. Sorv. Aquila, (ord.) 20 maggio 2014, R.

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Divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati all’ergastolo per particolari delitti (art. 4-bis, l. 26 luglio 1975, n. 354) in assenza di collaborazione con la giustizia: la normativa italiana non contrasta con l’art. 3 CEDU.


La normativa speciale contenuta nell’art. 4-bis della legge italiana di ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354), non contrasta con l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nella  parte in cui vieta la concessione dei c.d. benefici penitenziari ai condannati alla pena dell’ergastolo per i particolari delitti indicati nel comma 1 della detta legge, in assenza di collaborazione con la giustizia e fuori dei casi di collaborazione c.d, impossibile o inesigibile.


Sebbene i condannati all’ergastolo per alcuno dei delitti (cc.dd. ostativi) compresi nel novero di cui all’art. 4-bis, co. 1, ord. penit.,  siano destinatari di una disciplina più severa rispetto alla generalità degli ergastolani, ad essi è comunque data una possibilità legale e concreta di liberazione, che resta comunque correlata all’accertamento del fatto che, nei loro confronti, trascorso un certo periodo di tempo (comunque quantificato in misura sostanzialmente analoga a quella raccomandata dalla Corte di Strasburgo per quel che attiene alla liberazione condizionale ed in misura inferiore per quel che attiene ai benefici contemplati dall’Ordinamento penitenziario), l’esecuzione della pena abbia esaurito i suoi scopi ed essi possano (e, dunque, debbano) essere recuperati alla società.


Tale possibilità è, non diversamente che per gli altri condannati, subordinata all’accertamento giudiziale di talune condizioni chiaramente indicate dalla normativa e coerenti con il presupposto che giustifica ed impone di porre termine alla perpetuità della pena. Di speciale vi è, per tale categoria di condannati, il fatto che la legge esiga (non irragionevolmente, in rapporto alla gravità del fenomeno della criminalità di tipo mafioso e, dunque, alla speciale qualificazione di pericolosità dei suoi protagonisti) che tra tali condizioni sia compreso il definitivo allontanamento del condannato dal contesto associativo nel quale ebbero a maturare i relativi comportamenti illeciti,  allontanamento certificabile nelle forme sostanziali della collaborazione. Non irragionevolmente, infatti, il legislatore assume che attraverso la collaborazione con la giustizia, chi si é posto nel circuito della criminalità organizzata può dimostrare per facta concludentia di esserne uscito. Tale opzione normativa risulta, del resto, pienamente armonica con il principio della funzione rieducativa della pena, perché rispetto ai particolari delitti enumerati nella disposizione di cui all’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. è solo la scelta collaborativa ad esprimere con certezza quella volontà di emenda che l'intero ordinamento penale deve tendere a realizzare.


F.F.