Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Caso Regeni: la disciplina del processo in absentia non può risolversi in una immunità de facto ostativa all’accertamento dei crimini di tortura – Corte cost., n. 192 del 2023

Anna Maria Capitta

Corte cost.



Con la sentenza n. 192 del 2023, depositata il 26 ottobre 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, co. 3, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, co. 1, Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York il 10 dicembre 1984, ratificata e resa esecutiva con L. 3 novembre 1988, n. 498, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa. L’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, co. 3, c.p.p. è stata dichiarata per violazione degli artt. 2, 3 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura.
Il giudice rimettente ha reputato che i parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 24, 111, 112 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura, sarebbero violati dalle denunciate lacune normative in materia di processo in absentia, le quali renderebbero impossibile instaurare il processo nei confronti di quattro ufficiali della National Security Agency egiziana, per l’accertamento dei fatti di reato commessi in danno di Giulio Regeni, cittadino italiano, dottorando presso la Cambridge University, trovato senza vita il 3 febbraio 2016, in Egitto, lungo la Desert Road Cairo-Alessandria.
La Corte costituzionale è stata dunque chiamata a pronunciarsi su una fattispecie segnata dall’irrisolta tensione tra il diritto fondamentale dell’imputato a presenziare al processo, l’obbligo per lo Stato di perseguire crimini che consistano in atti di tortura e il diritto – non solo della vittima e dei suoi familiari, ma dell’intero consorzio umano – all’accertamento della verità processuale sulla perpetrazione di tali crimini. Il punto di caduta di questa tensione attiene alla disciplina del processo in absentia, che regola le ipotesi tassative in costanza delle quali l’imputato può essere giudicato senza essere presente: di questa disciplina la Corte ne ripercorre interamente l’evoluzione, senza trascurare le più recenti modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022.
La Consulta ha osservato, anzitutto, come l’aporia processuale denunciata dal rimettente riveli una lacuna ordinamentale, che non tarda a manifestare i tratti del vulnus costituzionale, non appena la si relazioni con la peculiarità giuridica del crimine di tortura. Non può infatti negarsi che si siano determinate le condizioni di una fattuale immunità extra ordinem in capo ai quattro funzionari egiziani imputati, incompatibile con il diritto all’accertamento processuale, quale primaria espressione del divieto sovranazionale di tortura e dell’obbligo per gli Stati di perseguirla.
Come precisa la Corte, nello statuto universale del crimine di tortura, delineato dalle dichiarazioni sovranazionali e dai trattati, il diritto all’accertamento giudiziale è il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità della persona.
Pertanto – ha affermato la Corte – la paralisi sine die del processo per i delitti di tortura commessi da agenti pubblici, quale deriverebbe dall’impossibilità di notificare personalmente agli imputati gli atti di avvio del processo medesimo a causa della mancata cooperazione dello Stato di appartenenza, non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale. Questa radicale frustrazione del processo si risolve nella creazione di un’immunità de facto, che offende i diritti inviolabili della vittima (art. 2 Cost.), il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e gli standard di tutela dei diritti umani, recepiti e promossi dalla Convenzione di New York (art. 117, co. 1, Cost.).
D’altra parte, il vulnus costituzionale denunciato dal rimettente può e deve essere sanato – a parere della Consulta – senza alcun sacrificio delle garanzie partecipative dell’imputato e, se mai, con una diversa scansione temporale del loro esercizio, che si riassume nel diritto dell’imputato a ottenere in ogni fase e grado la riapertura del processo, per il riesame del merito della causa.
Tenuto conto che il diritto a un nuovo processo in presenza risulta ampiamente attuabile nel caso concreto e che, comunque, la fattispecie di assenza in questione non comporta alcun intervento sul quadro delle garanzie delineato dal d.lgs. n. 150 del 2022, ad essa pienamente applicabile, la Corte costituzionale ha ritenuto che la procedibilità in assenza per i delitti di tortura statale, oggetto della presente pronuncia additiva, sia rispettosa del principio del giusto processo.