Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Detenzione domiciliare speciale – Corte cost., n. 76 del 2017

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, co. 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), per violazione dell’art. 31, co. 2, Cost., limitatamente alle parole «Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis,». Cade, dunque, la preclusione stabilita dall’art. 47-quinquies, co. 1-bis, ord. penit. alla concessione della detenzione domiciliare speciale in favore delle detenute madri di prole di età non superiore a dieci anni, che siano state condannate per taluno dei c.d. reati ostativi indicati dall’art. 4-bis, ord. penit. A questa categoria di detenute, è ora consentita l’espiazione della frazione iniziale di pena secondo modalità agevolate e, cioè, presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, previa valutazione giudiziale di non pericolosità in concreto, in ambito domiciliare o in luogo di cura, assistenza o accoglienza, ovvero, ancora, nelle case famiglia protette, ove istituite. In precedenza, con la sentenza n. 239 del 2014, la Corte costituzionale ha conferito alle madri ritenute responsabili di uno dei delitti di cui all’art. 4-bis, ord. penit. la facoltà di usufruire della misura alternativa speciale de qua, solo per la parte residua di pena ancora da scontare, vale a dire, solo dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. La pronuncia del 2014 ha riguardato, infatti, il co. 1 dell’art. 47-quinquies, ord. penit. e non ha, invece, inciso sul co.1-bis del medesimo art. 47-quinquies, ord. penit. (cfr., volendo, A.M. CAPITTA, Detenzione domiciliare per le madri e tutela del minore: la Corte costituzionale rimuove le preclusioni stabilite dall’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. ma impone la regola di giudizio, in questa Rivista, 2014, n. 3, 4). La decisione qui pubblicata rimuove il divieto assoluto di concessione della detenzione domiciliare speciale per l’espiazione anche della frazione iniziale di pena menzionata all’art. 47-quinquies, co. 1-bis, ord. penit. Resta, tuttavia, pur sempre applicabile il regime previsto dall’art. 4-bis ord. penit., le cui preclusioni alla concessione dei benefici penitenziari e, quindi, anche della detenzione domiciliare speciale non sono oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale. Sul punto, i giudici della Consulta hanno precisato che l’applicazione di tale regime restrittivo va comunque rapportato alla ratio della sentenza n. 239 del 2014, secondo la quale la mancata collaborazione con la giustizia non può ostare alla concessione di un beneficio primariamente finalizzato a tutelare il rapporto tra la madre e il figlio minore. La detenzione domiciliare speciale, infatti, è un istituto in cui assume rilievo prioritario la tutela di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, qual è il minore. La ratio cui è improntata la pronuncia qui in esame è, dunque, identica a quella posta alla base della sentenza n. 239 del 2014. Quanto al bilanciamento dell’interesse del minore con le esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore in seguito alla commissione di un reato, questo è rimesso, in linea di principio, alle scelte discrezionali del legislatore (sent. cost. n. 17 del 2017). Tuttavia, come ha già chiarito la Corte nella sent. n. 239 del 2014, affinché il preminente interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine, la legge deve consentire che sussistenza e consistenza di queste ultime siano verificate in concreto, e non già sulla base di automatismi che impediscono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni. Proprio una tale preclusione – rileva la Corte – è contenuta nella disposizione censurata. Il legislatore, infatti, esclude in assoluto dall’accesso ad un istituto primariamente volto alla salvaguardia del rapporto con il minore in tenera età le madri accomunate dall’aver subito una condanna per taluno dei delitti indicati nell’art. 4-bis ord. penit. E tale preclusione assoluta è ritenuta dal Giudice delle leggi certamente lesiva dell’interesse del minore e, perciò, dell’art. 31, co. 2, Cost. Secondo la Consulta, questa sorta di esemplarità della sanzione – per cui la madre deve inevitabilmente espiare in carcere la prima frazione di pena – non può essere giustificata da finalità di prevenzione generale o di difesa sociale (sent. cost. n. 313 del 1990). A.C.

Corte costituzionale