Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Equa riparazione/Ragionevole durata del processo – Corte cost., n. 88 del 2018

Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, l. 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 c.p.c.) – come sostituito dall’art. 55, co. 1, lett. d), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 134 – nella parte in cui tale disposizione non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
Nella sentenza che qui si segnala per il rilievo che assume anche con riguardo al procedimento penale, la Consulta ha ritenuto fondate, in riferimento agli artt. 3, 111, co. 2, e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, § 1, e 13 C.e.d.u., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), sollevate dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile.
Secondo il rimettente, la disposizione censurata, nel significato ormai assurto a “diritto vivente”, preclude la proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata. La norma è stata dunque censurata proprio nella parte in cui condiziona la proponibilità della domanda di equa riparazione alla previa definizione del procedimento presupposto. Il giudice a quo ha evidenziato come già la sent. cost. n. 30 del 2014, nello scrutinare analoga questione di legittimità costituzionale, avesse ravvisato nel differimento dell’esperibilità del rimedio un pregiudizio alla sua effettività, sollecitando l’intervento correttivo del legislatore. Il vulnus costituzionale riscontrato, tuttavia, non sarebbe stato ovviato dai rimedi preventivi frattanto introdotti dall’art. 1, co. 777, l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).
La presente pronuncia della Corte costituzionale si pone sul solco della sentenza n. 30 del 2014, in una prospettiva che ricalca quella delineata anche a livello europeo. Secondo la Corte e.d.u., infatti, i rimedi preventivi sono preferibili, in quanto volti a evitare che il procedimento diventi eccessivamente lungo, e sono “effettivi” nella misura in cui velocizzano la decisione da parte del giudice competente (C. eur., Grande Camera, sent. 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).
Invece – come ha rilevato la Consulta – tutti i rimedi preventivi introdotti dal legislatore, alla luce della loro disciplina processuale, non vincolano il giudice a quanto richiestogli e, d’altra parte, per espressa previsione normativa, «[r]estano ferme le disposizioni che determinano l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti» (art. 1-ter, co. 7, legge Pinto come modificata): ne risulta perciò pregiudicata la concreta efficacia acceleratoria. Dunque – ha concluso il Giudice delle leggi – il legislatore non ha rimediato al vulnus costituzionale precedentemente riscontrato. Del resto, la stessa Corte e.d.u., di recente, ha ritenuto priva di effettività l’istanza di prelievo, quale rimedio previsto dall’art. 54, d.l. 25 giugno 2008, n. 112 nell’ambito del processo amministrativo (C. eur., sent. 22 febbraio 2016, Olivieri e altri c. Italia).
Pertanto, posta di fronte a un vulnus costituzionale non sanabile in via interpretativa, la Corte ha ritenuto doveroso porvi rimedio – questa volta – con un intervento additivo, dichiarando la disposizione censurata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.

A. Capitta