Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Misure cautelari/Misure cautelari personali – Corte cost., n. 17 del 2017

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Fonte immagine: www.cortecostituzionale.it

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 275, co. 4, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 31 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Roma, nella parte in cui tale disposizione prevede che non possa essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di imputati, detenuti per gravi reati, che siano genitori di prole solo di età non superiore a sei anni.

Secondo il giudice a quo, la disposizione censurata stabilirebbe una presunzione assoluta: il compimento del sesto anno d’età da parte della minore richiederebbe il rispristino della misura custodiale in carcere e, dunque, l’irragionevole «situazione di automatismo» derivante dall’applicazione dell’art. 275, co. 4, c.p.p. impedirebbe al giudice di apprezzare le peculiarità del caso concreto, caratterizzato dalla contemporanea assenza dell’altro genitore, pure ristretto in custodia cautelare in carcere.

La Consulta ha rilevato, anzitutto, come l’individuazione normativa del limite dei sei anni di età del minore per l’applicazione del divieto di custodia cautelare in carcere non possa essere accostata alle presunzioni legali assolute che comportano l’applicazione di determinate misure o pene sulla base di un titolo di reato. L’automatismo che il rimettente lamenta è, semmai, quello contenuto nell’art. 275, co. 3, c.p.p., che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza, prevede – per gli imputati di alcuni gravi reati, fra i quali quello di cui all’art. 416-bis cod. pen. – che le esigenze cautelari siano soddisfatte, di regola, attraverso l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.

Secondo la giurisprudenza di legittimità (cui fa rinvio la sentenza qui pubblicata), la ratio del divieto legislativo di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, risiede nella necessità di salvaguardare la loro integrità psicofisica, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari (entro i limiti precisati), garantendo così ai figli l’assistenza della madre, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione.

Il Giudice delle leggi ha dunque affermato come il divieto in questione sia frutto del giudizio di valore operato dal legislatore, il quale ha compiuto un bilanciamento tra le esigenze di difesa sociale e l’interesse del minore. La Corte costituzionale ha ritenuto che la descritta opera di bilanciamento non appare manifestamente irragionevole ai sensi degli artt. 3 e 31 Cost. e, pertanto, non ha accolto la richiesta del giudice a quo.

A.C.