Misure di prevenzione - Corte eur. dir. uomo, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, con commento di A. Dello Russo

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza di parziale condanna all'Italia (De Tommaso c. Italia) ha stabilito che: "le misure di prevenzione possono essere applicate, ma a patto che la legge fissi in modo chiaro le condizioni, per garantirne la prevedibilità e per limitare un'eccessiva discrezionalità nell'attuazione" È indubitabile che stiamo vivendo in un periodo storico in cui le frizioni tra le Corti vanno intensificandosi (per una recente disamina v. i contributi contenuti nel volume curato da Gaito, I principi europei del processo penale, Roma, 2016). Lo dimostra la recente ordinanza n. 24 del 2017 con la quale la Corte costituzionale, nonostante l’apparente fair play che l’ha portata al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ha ribadito il ruolo di custode ultimo dei principi fondamentali del nostro ordinamento. E, seppur con minor clamore, anche la sentenza 23 febbraio 2017 della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa al caso De Tommaso c. Italia ci ricorda la difficoltà a trovare un punto di equilibrio tra legislazione nazionale e diritti dell’uomo, così come filtrati dall’elaborazione giurisprudenziale europea. Sotto la lente di ingrandimento uno dei settori ove si avverte maggiormente la “distanza” tra il diritto interno e quello sovranazionale, vale a dire quello delle misure di prevenzione. Materia ove, pur a fronte di significative e garantistiche pronunce della Corte europea (prima tra tutte quella relativa all’eco-mostro di Punta Perotti “Sud Fondi c. Italia”), la Consulta è rimasta ferma sulle sue posizioni (cfr. Corte cost., n. 49 del 2015), immunizzandone la portata. La decisione affronta specificamente le misure di prevenzione personali e ne offriamo una disamina esaustiva, muovendo dal ricorso presentato nell’interesse del De Tommaso dal suo rappresentante, l’avv. Domenico Conticchio, le risposte ai quesiti posti dai giudici, nonché l’arringa avanti alla Grande Camera. Completano il materiale che offriamo ai lettori, oltre alla recente sentenza, un commento di Alessandro Dello Russo che, seppur “a caldo”, traccia interessanti profili di discussione su tematiche di grande attualità che verranno approfondite da ulteriori commenti prossimi alla pubblicazione a firma di Alberto Cisterna, Leonardo Filippi e Sandro Furfaro.

corte EDU


Si rende noto il comunicato stampa ufficiale della Grande camera:

CEDU 69/2017 del 23.02.2017

Violazione della libertà di circolazione a seguito di sorveglianza speciale con obbligo di residenza

La sentenza resa il 23.02.2017 dalla Grande Camera, nel caso di de Tommaso c. Italia (ricorso n. 43395/09) la CEDU ha stabilito:

- all’unanimità, che vi era stata una violazione dell’articolo 2, del Protocollo n. 4 (in ordine alla libertà di movimento) della CEDU a causa de genericità della legge in materia, ed una violazione dell'articolo 6§1 della Convenzione per la mancata celebrazione del procedimento dinanzi alla Corte di Appello di Bari nelle forme dell’udienza pubblica;

- con quattordici voti contro tre, che non vi è stata una violazione dell'articolo 6§1 (in ordine al diritto all’equo processo);

- con dodici voti contro cinque, che non vi è stata alcuna violazione dell’articolo 13 (in ordine al diritto ad un ricorso effettivo).
Il caso in questione concerne le misure di prevenzione imposte per una durata di due anni al ricorrente, che ha lamentato una violazione dell’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), e dell'articolo 6 § 1 (diritto ad un equo processo) e dell'articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione e all'articolo 2 del protocollo n. 4 (in ordine alla libertà di movimento).
La Corte ha rilevato, in primo luogo, che gli obblighi imposti al Sig. De Tommaso non erano equiparabili ad una privazione della libertà ai sensi dell'articolo 5§1 della Convenzione, ma concernono restrizioni alla libertà di movimento.
Successivamente, la Corte ha dichiarato che la legge n. 1423/1956, che disciplina le misure di prevenzione imposte al Sig. De Tommaso, ha soddisfatto il requisito di accessibilità e di effettività. Tuttavia, ha dichiarato che la legge in questione lascia al Giudice un ampio potere discrezionale senza fornire una sufficientemente chiara indicazione della portata o delle modalità di esercizio di tale potere. L’imposizione di misure di prevenzione non era stata sufficientemente dettagliata e non era stata accompagnata da adeguate misure contro possibili abusi. Essendo stata formulata in termini vaghi e troppo ampi, la legge non ha soddisfatto i requisiti di specificità stabiliti dalla giurisprudenza della Corte.
Per quanto riguarda il criterio dell'equo processo, la Corte ha ritenuto che il procedimento nel suo complesso era stato condotto in conformità con le norme in materia, tuttavia come riconosciuto dal Governo vi era stata una violazione dell'articolo 6§1 dal momento che le udienze dinanzi alla Corte d'Appello di Bari non si erano tenute in forma pubblica. Ha inoltre osservato che la Corte costituzionale aveva già dichiarato incostituzionali le disposizioni della legge che non prevedevano la celebrazione di udienze pubbliche nell'ambito di un procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione.
Fatti principali
Il ricorrente, sig. De Tommaso, è un cittadino italiano.
Il 22.5.2007 la Procura della Repubblica di Bari proponeva al Tribunale di Bari il Sig. De Tommaso fosse attinto dalla misura della sorveglianza speciale di P.S. per due anni, ai sensi della legge n. 1423/1956, con obbligo di dimora. A sostegno della proposta il P.M. affermava che il Sig. De Tommaso, segnato da precedenti penali per traffico di droga, fuga e possesso illegale di armi, era solito associarsi con pregiudicati ed era un individuo pericoloso.
Il Sig. De Tommaso impugnava la misura, sostenendo che vi era stato un caso di scambio di identità e che nessuna accusa penale e di non essere stato più attinto da alcun procedimento penale dal 2002.
Con decreto dell’11.4.2008 il Tribunale di Bari disponeva nei confronti del Sig. De Tommaso la misura della sorveglianza speciale di P.S. per due anni. Il Tribunale riteneva sussistenti nel caso di specie i requisiti stabiliti dalla legge, non essendoci dubbi sulla pericolosità del proposto. A parere del Collegio il Sig. De Tommaso aveva tendenze criminali, e le prove acquisite dimostravano che egli traeva la maggior parte dei suoi mezzi di sussistenza da attività criminali.
Il 14.7.2008 il Sig. De Tommaso ha proposto ricorso dinanzi alla Corte d'Appello di Bari. Con decreto del 28.1.2009, la Corte d'Appello ha accolto il ricorso e annullato la misura di prevenzione. La Corte ha ritenuto che non vi era alcuna prova che il Sig. De Tommaso fosse pericoloso. Era stato condannato a marzo del 2003 per traffico di droga e detenzione di armi illegali e aveva scontato una pena di quattro anni di reclusione. Di conseguenza, le sue più recenti attività illegali inerenti la droga risalivano a più di cinque anni prima della richiesta di misura di prevenzione. Tutto ciò che la Corte d’Appello poteva ravvisare contro di lui era una violazione degli arresti domiciliari, commessa il 14.12.2004. La Corte d'Appello ha anche sottolineato che i reati del 25/29.4.2007, che il Tribunale aveva attribuito al Sig. De Tommaso, non erano stati commessi da lui, ma da un'altra persona omonima. Infine, ha dichiarato che il Tribunale aveva omesso di valutare la finalità riabilitativa della pena scontata dal Sig. De Tommaso e l’impatto sulla sua personalità.

Motivi di impugnazione, procedura e composizione della Corte
Invocando l’articolo 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza) e l’articolo 2 del Protocollo n. 4 (diritto alla libertà di movimento), il ricorrente si è lamentato della arbitrarietà e della durata eccessiva della misura di prevenzione irrogata. Invocando l’articolo 6§1 (diritto ad un equo processo), ha denunciato la mancata celebrazione di udienze pubbliche dinanzi alla Corte di Appello di Bari nonché la non rispondenza ai criteri dell’equo processo. Infine, ai sensi dell'articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo), ha affermato che non aveva rimedio efficace con cui chiedere un risarcimento danni per l’ingiustizia subita nei tribunali nazionali.

Il ricorso è stato presentato presso la Corte europea dei diritti dell'uomo il 28.7.2009. Il 25.11.2014 la Camera ha rimesso la decisione in favore della Grande Camera. L’udienza si è tenuta il 20.5.2015.
La sentenza è stata resa dalla Grande Camera composta da 17 giudici:
András Sajó (Ungheria), Presidente,
Guido Raimondi (Italia),
Josep Casadevall (Andorra),
Işıl Karakaş (Turchia),
Mark Villiger (Liechtenstein),
Boštjan M. Zupančič (Slovenia),
Ján Šikuta (Slovacchia),
Ledi Bianku (Albania),
Nebojša Vučinić (Montenegro),
Kristina Pardalos (San Marino),
Paulo Pinto de Albuquerque (Portogallo),
Helen Keller (Svizzera),
Ksenija Turković (Croazia),
Dmitry Dedov (Russia),
Egidijus Kūris (Lithuania),
Robert Spano (Islanda),
Jon Fridrik Kjølbro (Danimarca),
ed alla presenza del cancelliere del registro della Grande Camera Johan Callewaert.

Decisione della Corte

Articolo 5
Visti gli effetti della sorveglianza speciale e le modalità della sua applicazione, la Corte ha rilevato che gli obblighi imposti al Sig. De Tommaso non erano pari a quelli rivenienti dalla privazione della libertà ai sensi dell'articolo 5§1 della Convenzione, ma afferivano solo a limitazioni della sua libertà di movimento. La denuncia ai sensi dell'articolo 5 è stata quindi respinta.
Articolo 2 del Protocollo n. 4

La Corte ha osservato che la legge n. 1423/1956 ha rappresentato la norma fondamentale che disciplinava le singole misure di prevenzione imposte al Sig. De Tommaso. Le misure sono state adottate, quindi, in base ad un testo normativo reso nel diritto interno. Prima di tutto, la Corte ha ritenuto che la legge n. 1423/1956 abbia soddisfatto il requisito di accessibilità. Esaminando se gli effetti della legge erano prevedibili in termini di individuabilità dei soggetti attingibili dalle misure di prevenzione, la Corte ha osservato che l'imposizione di tali misure è rimasta legata ad una analisi prospettica demandata ai giudici nazionali, dal momento che né la legge né la Corte costituzionale hanno identificato con chiarezza gli “elementi di fatto” o gli specifici tipi di comportamenti che dovevano essere presi in considerazione nella valutazione della pericolosità sociale del proposto al fine dell’adozione delle misure di prevenzione.
La Corte ha pertanto ritenuto che la legge non contenga norme sufficientemente dettagliate per la individuazione dei tipi di comportamenti idonei a rappresentare la pericolosità sociale del proposto. Ha rilevato che il Tribunale aveva basato la propria decisione sull'esistenza di tendenze criminali “attuali” da parte del Sig. De Tommaso, pur senza attribuire alcun comportamento specifico o di rilevanza penale alla condotta ascrittagli. Inoltre, come motivo legittimante l’adozione della misura il Tribunale aveva addotto la circostanza che il Sig. De Tommaso non aveva una “occupazione stabile e lecita” e che la sua vita era caratterizzata dalla stabile frequentazione di criminali di primo piano e dalla commissione di reati. In altre parole, la Corte aveva basato il suo ragionamento sull'ipotesi di “tendenze criminali”, sebbene tale criterio fosse stato già ritenuto dalla Corte Costituzionale insufficiente per definire una specifica categoria di individui. La Corte ha quindi ritenuto che, poiché la legge in vigore all'epoca dei fatti non aveva fornito una chiara indicazione della portata o delle modalità di esercizio dell’ampia discrezionalità conferita ai Giudici nazionali, non era idonea a offrire una protezione contro le interferenze arbitrarie e a consentire al Sig. De Tommaso di adeguare la propria condotta al fine di prevedere con sufficiente grado di certezza l'imposizione delle misure di prevenzione.
Per quanto riguarda le misure imposte al Sig. De Tommaso, la Corte ha osservato che alcune di esse erano formulate in termini molto generici e che le prescrizioni erano estremamente vaghe e indeterminate; in particolare con riferimento all’obbligo di "condurre una vita onesta e rispettosa della legge " e di "non dare motivo di sospetto". E 'stato quindi impossibile per il Sig. De Tommaso verificare la effettiva portata delle prescrizioni imposte con la sorveglianza speciale.
La Corte ha ritenuto che la legge n. 1423/1956 aveva lasciato al Giudice un ampio potere discrezionale senza indicare con sufficiente chiarezza la portata di tale discrezionalità e le modalità del suo esercizio. Di conseguenza, la imposizione di misure di prevenzione nei confronti del Sig. De Tommaso non era stata sufficientemente prevedibile e non era stata accompagnata da adeguate salvaguardie contro i vari abusi possibili.
La Corte ha così scoperto che la legge era stata formulata in termini vaghi e troppo ampi e non soddisfaceva i requisiti sanciti dalla giurisprudenza della Corte in ordine alla prevedibilità della misura. La norma inoltre non aveva identificato con precisione e chiarezza né i soggetti nei confronti dei quali le misure potevano essere adottate né il contenuto di alcune prescrizioni. La Corte ha concluso che la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di dimora disposta nei confronti del Sig. De Tommaso non era sta resa sulla scorta di una legge conforme ai requisiti dettati dalla CEDU e che quindi vi era stata una violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4 della Convenzione per l’assenza di prevedibilità della legge.
Articolo 6§1
Per quanto riguarda il fatto che non erano state celebrate udienze pubbliche, la Corte ha ribadito che mentre il principio della pubblica udienza è stato ritenuto fondamentale in base al dettato dell'articolo 6§1, lo stesso non era da ritenersi assoluto. Tuttavia il Governo ha ammesso la sussistenza di tale violazione dell'articolo 6§1 e che le udienze dinanzi alla Corte di Appello di Bari non erano state pubbliche. Essa ha inoltre osservato che la Corte costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità degli artt. 4 della L. 1423/1956 e 2-ter della L. 575/1965 perché non prevedevano la possibilità che le udienze fossero celebrate in pubblica udienza nell'ambito dei procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali.
Inoltre, secondo la Corte, nel caso di specie andavano valutate le circostanze che avrebbero imposto la celebrazione in pubblica udienza, tenendo presente che i Tribunali nazionali avevano dovuto valutare aspetti quali la personalità, il comportamento e pericolosità del richiedente che erano stati posti a fondamento della applicazione della misura di prevenzione. La Corte ha quindi dichiarato che vi era stata una violazione dell'articolo 6§1.
Infine, per quanto riguarda la censura dell’equo processo, la Corte ha osservato che le doglianze del Sig. De Tommaso concernevano la valutazione arbitraria delle prove effettuata dai Giudici. Essa ha sottolineato, tuttavia, che la Corte d'Appello aveva annullato la misura di prevenzione. La Corte ha concluso che il procedimento nel suo complesso era stato condotto in conformità con i requisiti di un processo equo e che non vi era stata alcuna violazione dell'articolo 6 in questo senso.
Articolo 13 in relazione all’art. 2 Protocollo n. 4
La Corte ha osservato che il Sig. De Tommaso era stato in grado di presentare ricorso alla Corte di Appello di Bari sostenendo che vi era stata una violazione di legge nella applicazione della misura della sorveglianza speciale con obbligo di dimora.
Dopo aver esaminato i presupposti e la proporzionalità della misura la Corte di Appello ne aveva disposto l’annullamento.
La Corte ha ritenuto che il Sig. De Tommaso aveva avuto un ricorso effettivo, ai sensi del diritto italiano, al fine di impugnare le violazioni lamentate. Non vi era dunque stata alcuna violazione dell’art. 13 in relazione all'art. 2 del Protocollo n. 4 della Convenzione.
Equa soddisfazione (art. 41)
La Corte ha ritenuto che l'Italia deve corrispondere al ricorrente € 5.000 per il danno non patrimoniale ed € 11.525 per i costi sostenuti e le spese.
Pareri separati
I Giudici Raimondi, Villiger, Šikuta, Keller e Kjølbro hanno espresso un parere favorevole congiunto; il Giudice Dedov ha espresso un parere favorevole; e i Giudici Sajó, Vučinić, Pinto de Albuquerque e Kūris hanno espresso parere parzialmente dissenziente. Queste opinioni sono allegate al giudizio.