Ordinamento penitenziario - Trib. Sorv. Aquila, (ord.) 18 novembre 2014, T.

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Il giudice di sorveglianza può desumere dalla sentenza di condanna la sussistenza dell’aggravante del c.d. “metodo mafioso” (art. 7, legge n. 203 del 1991), anche in assenza di esplicita pronuncia sul punto da parte del giudice del merito, al fine delle preclusioni stabilite per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per i particolari delitti di cui all’art. 4-bis, L. 26 luglio 1975, n. 354.


L'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 convertito in legge n. 203 del 1991, con il quale è stata introdotta nell’ordinamento la circostanza aggravante del cd. "metodo mafioso" e della cd. "agevolazione mafiosa", dispone, al primo comma, che «per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà». Il divieto di concessione di benefici penitenziari, in caso di condanna per uno dei reati indicati dall'art. 4-bis Ord. Pen., opera anche quando l'aggravante di cui al d.l. n. 152 del 1991, art. 7, convertito nella legge n. 203 del 1991, relativa a fatti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. o per agevolare l'attività di una associazione di tipo mafioso, non sia stata oggetto di formale contestazione, ma sia verificata come sussistente dal Tribunale di sorveglianza attraverso l'esame del contenuto della sentenza di condanna, dovendosi avere riguardo alla qualificazione sostanziale dei delitti giudicati, con riferimento alla natura e alle finalità dell'illecito, nonché al contesto in cui lo stesso fu commesso. Tale divieto trova applicazione anche in relazione ai reati commessi successivamente all’emanazione d.l. n. 152 del 1991.


F.F.