Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Particolare tenuità del fatto - Cass., Sez. un., 27 ottobre 2015 (16 luglio 2015), P.g. in proc. Steger

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Fonte immagine: www.cortedicassazione.it


Si rende nota ai lettori la recente decisione con cui le Sezioni unite della Corte di cassazione, dopo l’assegnazione da parte della quinta Sezione penale, a norma dell’art. 618 c.p.p., hanno ritenuto infondato e rigettato il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso la sezione distaccata della Corte d’Appello di Trento con sede in Bolzano, avverso la sentenza del Giudice di pace di Chiusa del 28 gennaio 2014. Il Pubblico ministero ricorrente chiedeva l’annullamento senza rinvio della citata sentenza, asserendo una violazione dell’art. 34, co. 3, d.lgs. n. 274 del 2000: il Giudice di pace non sarebbe potuto pervenire alla dichiarazione di estinzione del reato per particolare tenuità del fatto a causa del difetto dei presupposti necessari prescritti per la dichiarazione stessa, tra cui, in primo luogo, il consenso della persona offesa («se è stata esercitata l'azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l'imputato e la persona offesa non si oppongono») che, nel caso di specie, era rimasta assente e, di conseguenza, incapace di esprimere una volontà in tal senso.


Le Sezioni unite hanno evidenziato come sulla questione esista un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento, che è quello privilegiato dell’Ufficio ricorrente, la mancata comparizione della persona offesa in udienza non può essere interpretata come volontà di non opposizione rispetto ad un’eventuale valutazione del giudice circa la particolare tenuità del fatto (Cass., Sez. V, 21 settembre 2012, Sabouri), trattandosi, la mancata comparizione in giudizio, di un fatto neutro, non univoco o rivelatore della volontà di non opporsi (Id., Sez. V, 7 maggio 2009, Bakiu; Id., 26 marzo 2014, Makula).


Secondo un altro filone giurisprudenziale, invece, la decisione della persona offesa di non comparire in giudizio, allorché regolarmente citata o irreperibile e messa, dunque, in grado di esprimere il suo atto di volontà, come nel caso in esame, implica la volontà di rinunciare all’esercizio di tutte le facoltà processuali previste dalla legge e non impedisce al giudice di valutare la sussistenza dei presupposti considerati dall’art. 34, co. 1, d.lgs. cit. Conseguentemente, l’opposizione di cui al co. 3, deve concretarsi in una volontà di opinione necessariamente espressa, non potendosi desumere da atti o comportamenti che non abbiano il carattere di una formale ed inequivoca manifestazione di volontà (Id., Sez. V, 5 dicembre 2008, Arhni; Id., Sez. II, 13 maggio 2014, Kokal).


Le Sezioni unite fanno proprio tale ultimo orientamento e, ritenendo infondate le censure addotte dal Pubblico ministero ricorrente, hanno rigettato il ricorso stabilendo il seguente principio di diritto:


«Nel procedimento davanti al giudice di pace, dopo l'esercizio dell'azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell'azione penale per la particolare tenuità del fatto in presenza dei presupposti di cui all'art. 34, co. 1, d.lgs. 274 del 2000».


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