Rinvio pregiudiziale - Trattamento dati personali - Direttiva 2002/58/CE - Nozione reato grave (Corte di giustizia UE – Grande Sezione – 30 aprile 2024, C-178/22, Ignoti c. Italia)

«Rinvio pregiudiziale – Trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche – Riservatezza delle comunicazioni – Fornitori di servizi di comunicazione elettronica – Direttiva 2002/58/CE – Articolo 15, paragrafo 1 – Articoli 7, 8, 11 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Accesso a tali dati richiesto da un’autorità nazionale competente al fine di perseguire reati di furto aggravato – Definizione della nozione di “reato grave” il cui perseguimento può giustificare una grave ingerenza nei diritti fondamentali – Competenza degli Stati membri – Principio di proporzionalità – Portata del controllo preventivo del giudice sulle richieste di accesso ai dati conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica»

Questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 15, comma 1 della direttiva [2002/58] osta alla normativa nazionale dell’articolo 132[, comma 3,] del decreto legislativo [n. 196/2003], (...) che (...) così stabilisce:
“3. Entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale, e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti per l’accertamento dei fatti, i dati sono acquisiti previa autorizzazione rilasciata dal giudice con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private”».
Giudizio della Corte:
L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
dev’essere interpretato nel senso che:
esso non osta a una disposizione nazionale che impone al giudice nazionale – allorché interviene in sede di controllo preventivo a seguito di una richiesta motivata di accesso a un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata dell’utente di un mezzo di comunicazione elettronica, conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, presentata da un’autorità nazionale competente nell’ambito di un’indagine penale – di autorizzare tale accesso qualora quest’ultimo sia richiesto ai fini dell’accertamento di reati puniti dal diritto nazionale con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, purché sussistano sufficienti indizi di tali reati e detti dati siano rilevanti per l’accertamento dei fatti, a condizione, tuttavia, che tale giudice abbia la possibilità di negare detto accesso se quest’ultimo è richiesto nell’ambito di un’indagine vertente su un reato manifestamente non grave, alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato.