Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Sul divieto di equivalenza o di prevalenza tra l'attenuante del vizio parziale di mente e l'aggravante del luogo di privata dimora nel delitto di rapina - Corte cost., sent. 217/2023

Daniele Piva

Corte cost.

Con sentenza n. 217 depositata l’11 dicembre 2023, all’esito dell’udienza del 22 novembre 2023 la Corte, nell’ambito del giudizio promosso dal Tribunale di Torino con ordinanza del 7 luglio 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, c.p., nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 c.p., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628 c.p., ritenendo invece non fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. sotto i profili dell’irragionevole equiparazione, sul piano sanzionatorio, di fatti di reato aventi disvalore differente e della violazione dei principi di proporzionalità e personalità della pena. Dopo aver richiamato il precedente invocato dal giudice a quo (sent. 73/2020) - i cui principi sono peraltro riaffermati anche in pronunce successive (sent. 55/2021 e 197/2023) - che in effetti ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, c.p. nella parte in cui stabiliva il divieto di prevalenza della medesima circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. rispetto all’aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, c.p., la Corte ne traccia le differenze rispetto alla disposizione impugnata la quale preclude sì al giudice l’ordinario giudizio di bilanciamento tra le circostanze ivi specificamente elencate (tra cui quella prevista dall’art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p.) e qualsiasi circostanza attenuante con la sola esclusione di quella prevista all’art. 98 c.p. ma prevede, al tempo stesso, che il giudice effettui la relativa diminuzione sulla pena risultante dall’applicazione delle aggravanti così “blindate” secondo un meccanismo del quale si è sempre esclusa l’incompatibilità con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 comma 3 Cost., atteso che «quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all’integrità fisica, ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento di pena di particolari circostanze» (sent. 251/2012, 88/2019, 117/2021). Nel caso, di specie, non viene dunque meno la possibilità di tenere adeguatamente conto, nella commisurazione della pena, della ridotta colpevolezza dell’autore discendente dal suo vizio parziale di mente la cui efficacia non risulta affatto “neutralizzata” per effetto dell’impugnata disposizione. Viceversa, la Corte ritiene fondata la censura di irragionevole disparità, ai sensi dell’art. 3 Cost., fra il trattamento riservato dalla disposizione censurata alla circostanza attenuante della minore età di cui all’art. 98 c.p. rispetto a quello riservato all’attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. in quanto finisce col ravvisarvi la medesima ratio derogandi – consistente nel dato di comune esperienza secondo cui i ragazzi in quella fascia di età, anche laddove possiedano un grado di maturità intellettiva e psicologica sufficiente a consentir loro di comprendere il disvalore del reato e di orientare conformemente la propria condotta - non potendo diversamente assumere rilievo, nel silenzio dei lavori preparatori della L. 94/2009 che ha introdotto il censurato quinto comma dell’art. 628 c.p., i caratteri peculiari del diritto penale minorile nell’ambito del quale la commisurazione della pena continua ad essere infatti regolata sulla base delle medesime regole generali del codice penale che vigono per gli adulti, con la eccezione costituita semmai dal divieto di applicare l’ergastolo (sent. n. 168/1994). Ad avviso della Corte una tale diminuzione della colpevolezza per il fatto di reato non può, dunque, non essere affermata anche con riferimento a chi abbia agito trovandosi in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, come recita l’art. 89 c.p. Soggetto, quest’ultimo, equiparato d’altronde al minorenne anche a diverso effetto (es. artt. 112, comma 1, n. 4, ovvero 577, comma 3 c.p. come introdotto dall’art. 11, comma 1, lettera c, della L. 60/2019, cd. “Codice Rosso”) e rispetto al quale, anzi, le ragioni dell’attenuazione di pena valgono a fortiori, dal momento che la notevole riduzione della capacità di intendere e di volere della persona è in questa ipotesi oggetto di un accertamento caso per caso da parte del giudice, di solito in esito a una perizia psichiatrica disposta d’ufficio laddove per la minore età si presumere in via generale l’attenuata colpevolezza, una volta che ne sia accertata una maturità sufficiente a fargli comprendere il disvalore del fatto e a dominare i propri impulsi.