Violazione dell’art. 1, Prot. n. 1 C.e.d.u. – Confisca – Patrimonio culturale – Insussistenza violazione (Corte EDU, Sez. I, 2 maggio 2024, J. Paul Getty Trust e altri c. Italia, n. 35271/19)

La Corte europea dei diritti dell’uomo non ha riscontrato la violazione dell’art. 1 prot. n. 1 C.e.d.u. da parte dell’Italia nel caso di provvedimento di confisca disposta dall’autorità giudiziaria italiana avente ad oggetto un’antica statua bronzea ritrovata in Italia ed ora posseduta dal Getty Museum in California.

La sentenza trae origine dal caso J. Paul Getty Trust e altri contro Italia (ricorso n. 35271/19). La Corte EDU ha stabilito all’unanimità che non vi è stata nessuna violazione dell’art. 1 del Prot. n. 1 (protezione della proprietà) C.e.d.u.
L’intricata vicenda processuale ruota intorno ad un provvedimento di confisca disposto per la prima volta da parte del giudice dell’esecuzione ed avente ad oggetto la statua bronzea dell’Atleta vittorioso. Tale statua, risalente al periodo ellenistico e attribuita allo scultore greco Lisippo, ora posseduta dal Getty Museum di Malibù in California (U.S.A.), fu casualmente ripescata nel mare Adriatico nel 1964.
Acquistata nel 1977 dal Getty Museum, la statua è, da tempo, oggetto di un’aspra contesa che si è sviluppata attraverso un lungo procedimento penale in cui il Museo californiano, mai imputato per la vicenda in questione, si presenta come terzo estraneo detentore della res su cui è stato disposto il provvedimento ablativo. La giurisdizione italiana e, in particolare, la competenza territoriale dell’autorità giudiziaria di Pesaro sono state configurate in virtù del luogo in cui le condotte criminose ipotizzate a carico dei marinai e dei titolari dei pescherecci che rinvenirono in mare la statua si sarebbero concretizzate in tutto o almeno in parte: a Fano. Si è dinanzi ad una confisca disposta in fase esecutiva dopo un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato e che ha negato la sussistenza dei presupposti applicativi della confisca. Più dettagliatamente, il Tribunale di Pesaro, a seguito di richiesta del p.m., in qualità di giudice dell’esecuzione, ha disposto con ordinanza dell’11 febbraio 2010 la confisca di una statua di bronzo, datata attorno al IV° secolo a.c., attribuita allo scultore greco Lisippo di Sicione, raffigurante un’atleta nell’atto di porre sul proprio capo una corona, pari a quelle spettanti al vincitore degli agoni. Tale statua, come detto, si trova custodita da lungo tempo presso il Museo J.P. Getty di Malibù.
Ne è seguita una lunga vicenda dipanatasi attraverso diversi momenti procedurali: incidente di esecuzione, ricorso in Cassazione (che ha portato infine all’annullamento del provvedimento impugnato), decisione della Corte costituzionale (attivata dalla S.C. sulla questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 111, comma 1, 117, comma 1, Cost. degli artt. 666, 667 comma 4, 676 c.p.p., "nella parte in cui non consentono che la parte possa richiedere al giudice dell’esecuzione lo svolgimento dell’udienza in forma pubblica") che con sentenza n. 97 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme censurate, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in punto di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica. E’ stato, successivamente, rinnovato il procedimento di opposizione nelle forme dell’udienza pubblica e, nel giugno 2018, è stata pronunciata dal tribunale di Pesaro (g.i.p), quale giudice dell’esecuzione, l’ordinanza che ha rigettato l’opposizione proposta dal Getty Museum e, pertanto, confermato la confisca della statua detenuta presso il predetto Museo, ovunque essa si trovi.
Vi erano stati nel passato (anni 1960 e 1970) precedenti procedimenti penali a carico di marinai o persone coinvolte nel ritrovamento della statua conclusi con sentenze di assoluzione o di non luogo a procedere e relativi ai reati di indebito impossessamento di cose di antichità od arte rinvenute fortuitamente (art. 67 l. n. 1089 del 1939) o esportazione clandestina di opere d’arte.
I ricorrenti hanno fatto ricorso alla Corte EDU ritenendo che sia stato violato l’art. 1 Prot. n. 1 C.e.d.u., in quanto la misura della confisca era stata illegale, nel significato di questa disposizione, a causa della mancanza di prevedibilità della base giuridica; che la Statua non faceva parte del patrimonio culturale italiano; e che la vicenda della confisca aveva posto su di loro un onere eccessivo.
Nei §§ 191-241 la Corte e.d.u. ha analizzato l’attribuibilità ai ricorrenti, racchiusi in forma di “trust”, dello status di vittima. A tal fine, sulla scorta della precedente giurisprudenza sovranazionale, ha ribadito come
un individuo deve essere in grado di dimostrare di essere stato "direttamente interessato" dalla misura oggetto di reclamo. Nel presente caso, dunque, si tratta di stabilire se i trustee avevano un interesse legale separato, diverso da quello del Trust, che è stato presumibilmente attinto dalla misura contestata.
Quanto al merito, il ricorrente sostiene che la statua del Lisippo sia una sua proprietà tutelata dall’art. 1 Prot. n. 1 C.e.d.u. e che non possono esservi dubbi che l’ordine di confisca adottato dall’autorità giudiziaria italiana costituisca un’interferenza con il suo godimento pacifico. A tal riguardo, la Corte EDU
ribadisce che affinché un’interferenza sia compatibile con l’art. 1 Prot. n. 1 C.e.d.u. deve trattarsi di intervento legittimo, che persegue l’interesse generale e che sia proporzionato, ossia deve trovare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e i requisiti della protezione dei diritti fondamentali dell’individuo (vedi, ad esempio, Pařízek c. Repubblica Ceca, n. 76286/14, § 42, con ulteriori riferimenti, 12 gennaio 2023).
Dopo un’approfondita disamina della vicenda e delle normative interne e internazionali applicabili al caso concreto, la Corte EDU ha concluso che il Trust non ha agito con la diligenza richiesta nell’acquisto della Statua (vedi paragrafi 386-390) e che questa situazione indubbiamente ha un certo peso nella valutazione (vedi Beyeler, citato sopra, § 116). Inoltre, dato che il ricorrente era consapevole dell’assenza, ai sensi della legge nazionale pertinente, di un termine per adottare la misura di confisca volta a recuperare oggetti culturali esportati illegalmente, non può dirsi che abbia sviluppato un’aspettativa legittima di mantenere la Statua, considerando che diverse autorità statali lavoravano continuamente con l’obiettivo di recuperarla (vedi paragrafi 394-397). Allo stesso tempo, e ancora una volta alla luce delle disposizioni nazionali applicabili, non può dirsi che sia sorta un’aspettativa legittima da parte del ricorrente riguardo alla possibilità di ottenere un risarcimento (vedi paragrafo 402) (così § 405).
D’altro canto, sebbene le autorità nazionali abbiano intrapreso diverse azioni volte a recuperare la Statua (vedi paragrafi 394-397), la Corte ha osservato anche che non hanno sempre seguito diligentemente le procedure pertinenti (vedi paragrafo 398) e che il Governo non è riuscito a convincerla del motivo per cui le procedure che hanno portato all’imposizione della misura contestata non potevano essere avviate prima del 2007 (vedi paragrafo 399). La Corte ritiene che queste conclusioni abbiano anch’esse un peso nella sua valutazione (vedi Beyeler, citato in § 120) (così § 406).
Tuttavia, a differenza del caso Beyeler, in cui l’oggetto culturale rilevante era legittimamente di proprietà di un privato, la negligenza delle autorità nazionali nel presente caso non ha comportato alcun arricchimento ingiusto da parte loro, poiché hanno dimostrato ragionevolmente che la Statua faceva parte del patrimonio culturale italiano (vedi paragrafi 346 e 348-52). Inoltre, nel presente caso gli errori occasionali commessi dalle autorità nazionali non sono avvenuti in una situazione in cui non poteva essere attribuito alcun errore o negligenza a un ricorrente che agiva in buona fede, ma piuttosto sono stati commessi come parte di una risposta al comportamento del ricorrente, che le autorità giudiziarie nazionali hanno considerato almeno negligente, se non in mala fede (vedi paragrafi 377 e 390). Infine, le autorità nazionali nel presente caso operavano in un vuoto giuridico, poiché nessuno degli strumenti internazionali che avrebbero potuto aiutarle a recuperare un oggetto culturale esportato illegalmente era in vigore al momento materiale dei fatti (vedi paragrafo 279). Al contrario, la Corte sottolinea che oggi, in un contesto simile, le autorità nazionali sarebbero tenute a rispettare rigorosamente i termini e le procedure stabilite dalla Convenzione UNIDROIT del 1995 e dalle disposizioni nazionali che attuano la Direttiva 2014/60/UE, nei casi in cui sono applicabili (vedi paragrafi 160 e 183 sopra) (così § 407).
Alla luce delle suddette conclusioni, e tenendo conto del fatto che lo Stato ha un ampio margine di discrezione per ciò che è "in conformità con l’interesse generale", in particolare per quanto riguarda le questioni del patrimonio culturale (vedi Beyeler, § 112; Kozacıoğlu, § 53; e Sinan Yildiz e altri (dec.), tutti citati), del forte consenso nel diritto internazionale ed europeo per quanto riguarda la necessità di proteggere gli oggetti culturali dall’esportazione illegale e di restituirli al loro paese di origine (vedi paragrafi 340-342, e la giurisprudenza ivi citata), del comportamento negligente del ricorrente, nonché del vuoto giuridico molto eccezionale in cui si trovavano le autorità nazionali nel presente caso, la Corte conclude che non hanno oltrepassato il loro margine di apprezzamento (così § 408).

Di conseguenza, la Corte ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 C.e.d.u. e:
1. Conferma, all’unanimità, l’obiezione del Governo riguardante la legittimità dei membri del consiglio di amministrazione del primo istante e dichiara che essi non hanno la legittimità per presentare la presente domanda;
2. Sostiene, all’unanimità, che non vi è necessità di pronunciarsi sulla legittimità dei nuovi membri del consiglio di amministrazione del primo istante per perseguire la presente domanda;
3. Respinge, a maggioranza, le altre obiezioni preliminari sollevate dal Governo e dichiara, a maggioranza, l’ammissibilità del reclamo ai sensi dell’art. 1 del Prot. n. 1;
4. Conferma, all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’art. 1 del Prot. n. 1 della Convenzione.

(Mariangela Montagna)